Sullo sfondo di un conflitto logorante, che quando sembra stia volgendo al termine cambia le carte in tavola mutando i nemici in alleati e proseguendo con nuovo slancio fino a trasformarsi in una guerra civile crudele ed agghiacciante, si profila la vicenda del protagonista de La casa in collina(C. PAVESE, La casa in collina, Giulio Einaudi editore, Torino, 2008), romanzo di Cesare Pavese composto d’un fiato (come si trattasse di un dovere morale) tra il 1947 ed il 1948. A detta della critica contemporanea, tale lavoro, rappresenterà la matura anticipazione dello scritto che consacrerà il suo autore quale esponente di rilievo della letteratura italiana contemporanea, il capolavoro La luna e i falò.

La vicenda concorre a narrare il conflitto interiore di Corrado, insegnante di provincia che svolge la sua attività professionale nella Torino ormai sotto assedio. Egli sceglierà di trascorrere le sue giornate in una residenza sulle colline antistanti la città, immerso in un clima bucolico (a tratti metafisico, abulico, irreale) dal quale l’orrore dei bombardamenti e della sofferenza si osservano dalla quieta distanza. Uomo ritroso, lungo le pagine del romanzo si manifesterà in tutta la sua introversione ed incapacità di costruire dei legami duraturi. Indifferente cronico, si scuoterà dalla sua condizione in un costante ed incalzante flusso di coscienza che culminerà in due fasi: l’incontro casuale con la sua ritrovata amante del passato, Cate (madre a sorpresa di un bambino, Dino), e l’acutizzarsi delle vicende della guerra che si inasprirà insinuandosi anche nel sereno universo della collina che nel frattempo diventerà il rifugio di ribelli e partigiani. I due eventi si intersecheranno irrimediabilmente, la passata vicenda amorosa e la ritrovata esigenza di creare dei legami concreti con l’evolversi inaspettato del conflitto bellico in guerriglia, condurranno il protagonista ad un complesso conflitto interiore. Si affaccerà in Corrado una sorta di nevrosi che mano a mano si acutizzerà quando, in un imprevisto slancio di abnegazione e generosità paterna verso il figlio di Cate, sperimenterà l’inevitabile progredire della distanza tra sé e le vicende belliche che coinvolgeranno irrimediabilmente il resto dei personaggi.
Il grande tema de La casa in collina diverrà la casa intesa come rifugio o nascondiglio al riparo da sé stesso e dalla guerra, rappresenterà l’inappagato desiderio di affetti per colui il quale ha scalzato sentimentalismi e legami allontanando progressivamente qualsiasi pretesa di affezione o vicinanza. La collina, il decantato luogo al riparo dagli orrori della guerra, diventerà ricovero obliato dall’orrore e si confermerà tale nel ritrovamento dell’affetto di una remota conoscenza e nell’orgoglio sfrontato palesato attraverso la pretesa d’essere padre, così come nel tentativo insistente di reperire un perduto equilibrio sciupato solo nel momento in cui la guerra non dividerà definitivamente Corrado dai ritrovati affetti, facendo la differenza tra chi come il protagonista sceglierà di fuggire il pericolo, e chi invece, come i suoi amici partigiani, ci correrà spavaldamente incontro. Corrado saggerà il terrore quando, ricercato dai fascisti per affiliazione ad un gruppo di ribelli, sarà costretto al confino per sfuggire all’arresto ed alla deportazione (sorte che toccherà a Cate ed a tutti, o quasi, i suoi compagni). Si spezzerà così repentinamente il legame coi boschi, e diventerà sempre più evidente, nei contenuti così come nella sintassi, come la dicotomia vita/morte in un contesto di esilio e nascondiglio sarà sempre più accomunata nel significato – “ avrei voluto che la soglia del collegio, quel freddo portone massiccio, fosse murata, fosse come una tomba” (C. Pavese, La casa in collina, Giulio Einaudi editore, Torino, 2008, p. 90). Il malessere si riaffermerà, nella coscienza scossa di Corrado ogni qual volta in cui, quest’ultimo, sentirà in bocca l’acre sapore del sangue, frammisto a quell’arresa sensazione di impotenza che infine lo riporterà nelle terre natie dove si riconcilierà con i suoi familiari, allo scopo di recuperare l’unico vincolo che l’uomo non può spezzare: il legame genetico del sangue, e nel contempo nel tentativo arreso di trovare rifugio nel passato sfuggendo un futuro ormai corrotto dalla disperazione prodotta dalla guerra. Sarà così che il protagonista sperimenterà la definitiva sconfitta riconoscendo con rammarico che: “È qui che la guerra mi ha preso, e mi prende ogni giorno. [...] non è che non veda come la guerra non è un gioco, quella guerra che è giunta fin qui, che prende alla gola anche il nostro passato [...]” (C. Pavese, La casa in collina, Giulio Einaudi editore, Torino, 2008, PP. 121-122). . Incapace di trovare asilo, disperatamente assetato di pace, Corrado, da spettatore inerme finirà per scoprire lì, dove le colline non saranno più la galleria con vista sul palcoscenico del mondo, la colpa e la vergogna, la morte senza scampo, la fame e la crudeltà, come un condannato alla pena capitale in rassegnata attesa del compimento della sentenza per lui disposta.

Attraverso uno stile maturo, in cui la scelta accurata delle parole impreziosisce imprescindibilmente l’intreccio, Pavese riesce dunque ad accostare due drammi che minano in egual misura alla serenità ritrovata del protagonista. In maniera assolutamente vivida e lucida si consuma la disgrazia universale totalizzante e fratricida prodotta da una guerra senza fine che si accosta e viaggia parallelamente al dramma del singolo, inetto per sua natura, egoista, credutosi presuntuosamente immune agli eventi, ma infine doppiamente coinvolto. Anche la speranza e l’innocenza rappresentate dal bambino – che nell’intimo del soggetto narrante è l’occasione di riscatto per quell’umanità andata ormai a male – inaspettatamente si sgretolano dal momento che l’innocente prende a scimmiottare la guerra degli adulti, manifestando una cieca adulazione per gli amici partigiani che frequentano la sua casa. Quanto affermato sarà dimostrato quando il piccolo Dino, allontanato dalla madre in occasione dell’arresto di quest’ultima, fuggirà coraggiosamente dal convento-tomba nel quale aveva raggiunto Corrado per congiungersi successivamente ad un compagno impegnato nella lotta ribelle. Il figlio della guerra violenta col suo gesto concretizzerà la sconfitta dell’umanità. Il romanzo di Pavese vuole dunque descrivere il completo fallimento di ogni generazione, la macchia indelebile del conflitto che porta in eredità un futuro cieco, epurato di speranze, destinato a compiersi senza un barlume di pietà. Il pessimismo di cui è permeata l’opera si legge chiaramente nelle ultime battute dello scritto quando a compimento delle innumerevoli elucubrazioni il protagonista si domanderà che cosa sia la guerra aggiungendo :“Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero” (C. Pavese, La casa in collina, Giulio Einaudi editore, Torino, 2008, p. 123). Nella completa sfiducia nel futuro, nell’incapacità di reagire agli eventi, Corrado diverrà il corpo e lo spirito dell’umanità intera con tutta la sua codardia, la sua impassibilità, la sua inettitudine e la sua assurda, eppur normale, impotenza al flusso luttuoso degli eventi, interpreterà la paralisi del corpo ed il torpore dello spirito proprio di una guerra totale in tutti i sensi, destinata a condurre alla colossale sconfitta dell’io. Antitetico rispetto a molti altri romanzi che hanno per soggetto principale la guerra civile ed i suoi orrori, La casa in collina rinuncia alla descrizione degli eroici eventi da Partigiano Johnny per svolgere, invece, un’indagine più intima e profonda che trascende i fatti. Il protagonista non è un combattente, ma un intellettuale, un analfabeta del fare che, sebbene capace di capire intimamente le ragioni profonde del conflitto dimostrando di sciorinare brillantemente le proprie opinioni in proposito, egli è incapace di prendervi parte, è paralizzato nelle azioni, è esattamente alla stregua di qualsiasi altro civile, anch’egli vittima senza scampo come foglia in balia di un vento funesto ed inarrestabile, colpevole, come altri appartenenti alla sua stessa generazione, di aver acconsentito allo scoppio della guerra senza fare troppe obiezioni, come quando si discuta di un argomento che ci riguardi ma solo vagamente.

“E se non fosse che la guerra ce la siamo covata nel cuore noialtri, noi non più giovani, noi che abbiamo detto ‘Venga dunque se deve venire’, – anche la guerra, questa guerra, sembrerebbe una cosa pulita. Del resto chi sa. Questa guerra ci brucia le case. Ci semina di morti fucilati le piazze e strade. Ci caccia come lepri di rifugio in rifugio. Finirà per costringerci a combattere anche noi, per strapparci un consenso attivo. E verrà il giorno che nessuno sarà fuori della guerra”. (C. Pavese, La casa in collina, Giulio Einaudi editore, Torino, 2008, p. 120).