Vincenzo Consolo è da considerarsi come uno degli ultimi letterati siciliani a Milano tra cui sono da annoverare Vittorini, Quasimodo e il critico letterario Guglielmino. La Sicilia è nel bagaglio che porta con sé nella città lombarda dove si trasferisce nel 1968 dopo aver vinto un concorso in Rai.
Gli echi della propria terra si ravvisano in ogni dove: negli immigrati con la valigia di cartone, negli sguardi dei giovani poliziotti del sud o nella narrativa di uno dei suoi maestri Danilo Dolci, che poi cercherà di incontrare.
La Sicilia forma anche la sua indole di intellettuale partecipe alla vita politica e mai alieno da essa, scrittore pervaso di umanità e voglia di giustizia, proprio in virtù di quella mancata fiducia nei poteri più forti dello Stato. In tale direzione scrivere per il Messaggero e l’Unità è stato lo strumento che gli ha permesso di esprimere dissenso e pensiero politico al di là della finzione narrativa.
La sua produzione letteraria è variegata e composta da saggi e romanzi con i quali ha vinto numerosi premi letterari tra cui il Premio Pirandello per il libro Lunaria (1985) e il Premio Strega con Nottetempo, casa per casa (1992).

La scelta della scrittura matura dopo la laurea in Giurisprudenza presso l’Università Cattolica di Milano: in seguito ad alcuni anni di insegnamento nelle zone più periferiche e depresse d’Italia a stretto contatto con una realtà sociale ben delineata, in Consolo si sviluppa la spinta a descrivere quegli ambienti contadini che vive, giorno dopo giorno.
Il Vittorini di Conversazione in Sicilia e lo stesso Pavese sono i miti con cui l’autore decide di confrontarsi tenendo presente la situazione evolutiva del romanzo italiano teso tra una “scrittura comunicativa” e una “espressiva”, per usare sue parole.
Optando per forme espressive mutuate da Giovanni Verga i romanzi di Consolo si distinguono per una scelta linguistica lontana dalle avanguardie e dalla volontà di ricostruire da zero un linguaggio nuovo che nulla abbia con gli elementi comunicativi noti. Vicino alle posizioni pasoliniane Consolo avverte la direzione del cambiamento della lingua italiana attraverso la creazione di una “super-koiné” linguistica frutto della commistione di formule dialettali e espressioni di uso comune, con enormi potenzialità di diffusione grazie ai mass media.

Leggiamo in una sua intervista:
“Lo scrittore di tipo sperimentale usa un controcodice, che è un codice espressivo che tiene conto della tradizione letteraria e linguistica e quindi cerca di portare nella sua scrittura tutti gli echi che fanno parte della nostra tradizione letteraria. [...]Gli sperimentalisti tengono conto di quello che è la tradizione letteraria e su questa tradizione cercano di elaborare sperimentando e cercando di far coincidere quelle che sono le istanze del nostro tempo e di trasferirle sulla scrittura, di far coincidere cioè il libro con il tempo in cui opera, anche se il romanzo è di sfondo storico, in cui vi sia quella vitalità, quella gente che attualizza il romanzo storico attraverso la metafora e lo fa sembrare lo fa essere specchio della contemporaneità, del momento in cui lo scrittore si trova a rappresentare un fatto, a raccontare un evento”

La televisione e il potere economico, nella teorizzazione di Consolo, svolgono un importante ruolo direzionale nello sviluppo attuale della lingua: l’autore spera in una rivalutazione della lingua italiana nella scrittura, una lingua che sappia cogliere il doppio influsso che storicamente essa ha ovvero quello di matrice colta e popolare insieme al di là delle semplici scelte commerciali che vedono gli autori contamporanei diffondersi grazie a una scrittura “giovanilistica”.

L’attenzione posta sugli strumenti di comunicazione della nostra società e su come questi influenzino la lingua contemporanea, sia letteraria che non, è un’osservazione quanto mai attuale in uno scrittore che ritrova la propria matrice compositiva nel romanzo storico e in Manzoni, ma che proietta e sintetizza le dinamiche interne alla scrittura con elementi extra-letterari.


"Rosalia. Rosa e Lia. Rosa che ha inebriato, rosa che ha confuso, rosa che ha sventato, rosa che ha róso, il mio cervello s'è mangiato. Rosa che non è rosa, rosa che è datura, gelsomino, bàlico e viola; rosa che è pomelia, magnolia, zàgara e cardenia. Poi il tramonto, al vespero, quando nel cielo appare la sfera d'opalina, e l'aere sfervora, cala misericordia di frescura e la brezza del mare valica il cancello del giardino, scorre fra colonnette e palme del chiostro in clausura, coglie, coinvolge, spande odorosi fiati, olezzi distillati, balsami grommosi. Rosa che punto m'ha, ahi!, con la sua spina velenosa in su nel cuore." (da Retablo, Palermo, Sellerio, 1987)

Leggi il saggio di Vincenzo Consolo sulla rivista «Boll900» Per una metrica della memoria.