L’attenzione al testo nella critica del Novecento si collega – ovviamente – alla retorica e alla poetica classiche sebbene l’applicazione dei loro principi in questo secolo si attui inizialmente come studio accademico delle lingue antiche.
Negli anni venti e in seguito al declino delle avanguardie pian piano la lente di studio e di produzione letteraria si sposta verso la tradizione intesa come qualcosa da recuperare e vivificare: parliamo di poeti come Montale e Eliot ma anche di critici attenti alla letteratura moderna ma di formazione classica come Robert Curtius (1886-1956) il quale pur con uno spiccato interesse per la produzione letteraria ottocentescs – da Balzac a Eliot a Joyce a Hofmannsthal) aveva affiancato a un sostrato filologico molto forte l’indirizzo di Oswald Sengler, studioso della crisi della cultura umanistica. In seguito i suoi studi lo avvicinano ad una forma di storicismo che vede una continuità morfologica da ricostruire nella cultura dell’intero mondo occidentale. Fine di tale teorizzazione era individuare i topoi comuni, ovvero temi e immagini aventi la medesima matrice culturale tardo latina e poi rinascimentale italiana, utilizzati da autori di tempi e luoghi differenti. Con l’opera Letteratura europea e Medio Evo latino – scritta tra il 1932 2 il 1947 ma edita a Berna nel 1948 – Curtius tendeva a recuperare una congruità culturale, che poteva anche assumere i connotati di continuità politica, in cui tradizione e innovazione si incontravano dialetticamente. Il tentativo del critico riscosse pareri contrastanti specialmente in relazione a chi voleva sottolineare le differenze tra cultura rinascimentale e cultura medievale.
In parallelo ci fu chi scelse di reinterpretare lo spirito di Curtius con la nuova linguistica: è il caso di Herald Weinrich (– 1927) che compì ricerche approfondite nel campo dei tropi coniando la definizione di “campo metaforico” e unendo, dunque, la ricostruzione culturale con quella linguistico-retorica.

In generale bisogna attendere gli anni ’50 per vedere rinnovata la riflessione sulla retorica e la poetica applicate alla critica letteraria, dipendente però dalle differenti aree culturali. Se la Scuola di Chicago promosse una rilettura di Aristotele il suo fine fu rivalutare la funzione dell’autore contro il formalismo eccessivo del New Criticism di altre università statunitensi: oltre alla reinterpretazione di testi furono proposte classificazioni di funzioni letterarie e concetti desunte da singole opere e da generi interi.

Unione di retorica e linguistica si ebbe con gli anni ’60 per lo più grazie a gruppi di studiosi belgi riuniti sotto il nome di Gruppo µ che promosse nei suoi scritti una classificazione sistematica di tutte le figure del linguaggio secondo una combinazione di tre livelli di analisi diversi: linguistico, logico e epistemologico. Con un’operazione analoga, nell’opera Retorica della poesia furono individuate tipologie precise nella lettura poetica basati su “isotopie” ovvero livelli testuali equivalenti da interpretare simultaneamente.