A volte un mal di testa, un pensiero ossessivo o un sogno ricorrente potrebbero non essere solo le semplici conseguenze dello stress, di un forte desiderio cui aspiriamo o di un messaggio mandatoci dal nostro inconscio.
A volte questi malori potrebbero essere il risultato di un malocchio.

Non solo secondo le antiche credenze popolari, ma anche secondo la mentalità dei latini, la sola azione del guardare intensamente una persona e, spinti da un desiderio di invidia, augurargli delle sciagure con la forza del pensiero, poteva provocare degli stati di malore nella vittima, questi andavano, appunto, dal semplice mal di testa, inguaribile con i rimedi della medicina scientifica, allo sviluppo di pensieri ossessivi, fino alla caduta in uno stato di insonnia dovuto a incubi ricorrenti.
Invidiare, infatti, significa gettare uno sguardo malvagio verso qualcuno, ma, non sono in pochi a credere che, a volte, quello sguardo possa avere dei tangibili effetti negativi, sia fisici che psicologici, sulla persona che lo riceve; è in questa circostanza che si parla di malocchio, il quale, stando alle spiegazioni degli esperti in materia, può essere anche generato inconsapevolmente: cioè chi invidia, non lo fa sempre allo scopo di nuocere e causare un reale malore all’invidiato.

D’altra parte alla vittima, una volta constatata l’inutilità della medicina nella cura del proprio dolore, non spetterebbe altro che prendere coscienza del proprio stato di malattia atipica e ricorrere ai rimedi custoditi dalla memoria, dalla cultura e dalla superstizione popolari.
Religione e superstizione sconfinavano dai propri limiti e si fondevano in formule e rituali allo scopo di liberare dal male la vittima di uno sguardo invidioso: “malocchio, malocchio e contro-malocchio, ti strappo da me e ti ributto nel suo occhio!” Segni di croce, olio e invocazioni di formule e figure di santi avrebbero, non solo garantito il successo della cura, ma anche permesso di individuare con una certa precisione (non sempre infatti era possibile risalire a una persona ben precisa, ma, a seconda dei riti e delle tradizioni, era possibile capire se si trattasse di una donna, di un uomo, di una persona vicina, ecc.) la persona da cui il malocchio sarebbe stato lanciato.

Nel caso specifico della cura di questo particolare stato di malattia è possibile notare, con la stessa attenzione e curiosità che colpirono Levi, nella sua esperienza di confino a Gagliano, descritta nel “Cristo si è fermato a Eboli”, come nel substrato delle tradizioni e della cultura popolare non esiste confine preciso e netto tra religione e superstizione. È un esempio, appunto, la cura del malocchio: un metodo di guarigione di tipo superstizioso, operato chiedendo l’intercessione dei santi religiosi.

Del resto la sovrapposizione dei due concetti, molto simili eppure differenti, è accentuata dal senso stesso delle parole religione e superstizione, le quali, anche da un punto di vista etimologico, hanno un significato molto simile.

Per dirla in soldoni, la parola religione può essere interpretata in due modi diversi: dal latino re-lego oppure re-ligo, cioè rileggere, o rilegare. Il religioso, infatti, è quello capace di rileggere e comprendere le cose divine, quelle che stanno al di sopra dell’uomo e, contemporaneamente, è rilegato a queste e a Dio.

La parola superstizione, invece, deriva sempre dal latino ed è composta dalla preposizione super e dal verbo sto e indica, appunto, l’insieme delle pratiche che l’uomo adopera per rapportarsi a ciò che gli sta al di sopra.

Due parole, dunque, che indicano la naturale tensione dell’uomo verso la conoscenza ultraterrena, ma anche due percorsi differenti per poterci arrivare.

Leggere e comprendere la volontà di Dio, infatti, secondo la religione richiede fede e non ha come fine la previsione e soprattutto il controllo degli eventi futuri. Il religioso non entra in confidenza con Dio per chiedergli di intervenire nella sua vita, affinché non possa mai capitargli nulla di male, ma ha fede che col Suo aiuto riuscirà ad affrontare anche gli avvenimenti negativi e difficili.
Le pratiche superstiziose, invece, attingendo a quel patrimonio di conoscenze che stanno al di sopra delle comuni capacità umane, promettono il controllo sugli accadimenti presenti e futuri della vita dell’uomo. Con formulari, riti e pratiche particolari è possibile guarire malattie, prevedere l’esito degli eventi e fare in modo che, persino le disgrazie, possano risolversi in maniera positiva.
La sovrapposizione tra i due piani, quello religioso e quello superstizioso, è dovuta proprio all’unicità del campo d’azione delle due “discipline”, quello soprannaturale, ma cambia il modo di interpretarlo. Quando si vorrebbe sfruttare la volontà di Dio, presumendo di conoscerla, per controllare il desino degli uomini, allora anche la religione diventa superstizione.

Non è però un reato ricercare, studiare e cercare di tramandare, anche sottoforma di espressione artistica, questo grande bagaglio di conoscenze e tradizioni che sta alla base della cultura popolare di molti paesi ancora e che, ormai, son custodite dalla sola memoria degli anziani e, forse, di pochi iniziati.
Non è semplice, infatti, risalire alla conoscenza di questa cultura, poiché i suoi misteri non erano cosa da rivelare a chiunque e, qualora si individuasse una degna o un degno successore cui affidare i poteri magici e le formule per esercitarli, l’iniziazione poteva avvenire solo in determinati giorni dell’anno.
Persino Carlo Levi, quando nella sua opera giunge, finalmente, all’agognato momento della rivelazione delle formule, capaci persino di uccidere una persona e provocarle gravi mali, fu costretto a tacerle, perché legato da un giuramento che sarebbe stato un sacrilegio tradire, oltre che per senso di responsabilità: non sapeva, infatti, se i lettori avrebbero potuto usarle in maniera virtuosa.