La coscienza di Zeno esce nel 1923, presentando per la prima volta la psicoanalisi come materia narrativa; ancora poco studiata e (soprattutto) molto dibattuta, la scuola di Freud aveva ormai messo radici salde; la sua terapia medica era in grande espansione e la curiosità intorno alle nuove teorie aumentava di giorno in giorno.
L'esistenza di una dimensione parallela in grado di lacerare la lucente superficie della coscienza, solamente intuita da Svevo nei precedenti romanzi (e non solo da lui, basti pensare a Pirandello) è stata istituzionalizzata da Freud e fa il suo ingresso nel mondo letterario. È questo, secondo molti, il vero balzo verso la modernità novecentesca:

"prima della psicoanalisi – annota ad esempio Tellini – il romanziere sapeva d'avventurarsi in un territorio inesplorato: hic sunt leones. Dopo la psicoanalisi, sa di entrare in una riserva di caccia (…) L'allargamento dei confini conoscitivi non è una rivoluzione di poco conto: mette in crisi l'identità dell'io così come è stata codificata dalla razionalità classica e spezza le fondamentali certezze che la riflessione filosofica ha elaborato dall'epoca di Cartesio."

Quando La coscienza di Zeno uscì dalla tipografia Cappelli di Bologna, le tematiche e le tecniche strutturali apportate da Svevo segnarono una netta rottura con la tradizione letteraria italiana; abbandonate le ultime rielaborazioni del naturalismo, Svevo seguì la linea tracciata, nel cuore della vecchia Europa (Parigi, Dublino), da Marcel Proust e James Joyce. I due scrittori incominciarono all'alba del nuovo secolo un sondaggio instancabile nelle regioni più buie della coscienza; soverchiarono le forme classiche della narrazione, l'uso del tempo, il ruolo del narratore, privilegiando l'analisi introspettiva ad ogni altra peculiarità narrativa. Svevo quindi fornì un contributo, importante e certamente rilevante anche fuori dai confini italiani, nella ricerca di questa nuova dimensione romanzesca finalmente idonea per ricomporre la frattura che il mondo della scienza aveva creato tra una realtà psicosociale ridisegnata dalla scoperta dell'inconscio e un mondo letterario arroccato nel castello dorato delle vecchie verità oppure incantato dalla "sublimazione metafisica, spiritualistica ed estetizzante" tipiche del decadentismo e dell’estetismo.
Sarà Zeno Cosini, il terzo personaggio creato dalla penna dello scrittore triestino, a rivelare nel desolato panorama letterario del primo novecento, la forza delle pulsioni nascoste e la triste lotta dell'uomo "medio" con la sua indole inconscia; l'irrompere sulla scena di un "io" non eroico né brillante, disgregato e privo di identità, ma finalmente consapevole delle proprie debolezze.
La struttura poliforme della personalità si realizza in Zeno nella ormai celebre doppiezza del protagonista. Fu Eugenio Montale a proporre un felice paragone tra il popolare personaggio di Charlie Chaplin "Charlot" e il mediocre borghese Cosini: l'apparente intraprendenza e sfacciataggine cela, nell'uno come nell'altro, una doppia faccia niente affatto giocosa e vincente.
Poiché il testo è riflesso diretto della personalità del Cosini appare appropriato pensare ad un percorso narrativo su due livelli: l'uno superficiale e l'altro "sotterraneo".
Nel primo abbiamo la storia di un ricco borghese triestino intento a liberarsi del vizio del fumo (senza troppa convinzione per la verità- ma in questo che c'è di male?); della traumatica morte del padre (per chi non lo sarebbe?); del rocambolesco matrimonio conseguito quasi per caso dopo i tentavi falliti con le sorelle più attraenti; della relazione amorosa con una giovane e graziosa popolana; delle peripezie dell'impresa commerciale avviata assieme al cognato Guido (finita malissimo la ditta e finito ancora peggio Guido, morto suicida per errore).
Alla luce del sole la vita di Zeno, anche quella falsamente sincera della confessione , è un susseguirsi di successi insperati: il matrimonio si rivelerà più felice del previsto e certamente più felice di quello tra Guido e Ada; l'adulterio aumenterà la sua affettuosità verso la moglie fino a suscitare l'ammirazione dell'intera famiglia Malfenti; gli affari volgono al meglio quando è lui a prendere in mano la situazione disperata. Alla fine è consapevole di "aver vinto" tutte le sfide incontrate sul suo cammino e di aver superato tutti i suoi antagonisti: "mi sentii veramente quale Ada mi vedeva, l'uomo migliore della famiglia"
E' a questo punto che viene fuori la grande innovazione di Svevo. Le "ombre" che costellano l'esistenza degli esseri umani non sono solamente accennate o intuite, bensì osservate in profondità, affrontate col piglio della razionalità scientifica, aggredite su tutti quegli aspetti rimasti per secoli ai margini dell'immaginario letterario: l'isteria, il sogno, i lapsus, la sessualità. Il mondo dell'inconscio offre una serie di nuovi e illuminanti strumenti per "leggere" l'uomo e capirne aspirazioni, conflittualità e problematiche. Se le azioni e i risultati sembrano conferire un'area trionfalistica all'esistenza del protagonista ecco che accorrono le "ombre dell'anima" a smascherare la sua mediocrità. Pensieri, motivazioni, recondite volontà; è qui che Zeno inciampa impietosamente, e il lettore, benché privato dal narratore-guida, ha tutta la chiarezza necessaria per rendersene conto.
Nel piano sotterraneo infatti la storia appare molto meno lineare; il diario stesso è "truccato", la sua più forte connotazione è quella di essere, per dirla con Montale, "doloroso e squallido".
Le vittorie di Zeno sono per lo più il riflesso del suo punto di vista, straboccano di falsità e aggiustamenti, come aveva anticipato il dottor S. in prefazione e ammesso lo stesso Zeno in numerosi frangenti della confessione.
Manca, come abbiamo detto, la terza persona per le delucidazioni al lettore, ma Svevo compensa il vuoto ampliando la gamma dei segni, dei simboli, dei messaggi cifrati: la Coscienza è una serie infinita di lapsus, gaffes, contraddizioni, confessioni dissimulate e mendaci.
Il protagonista perde l'alone di fortunato e vincente (benché inetto) ed acquista la dimensione di mediocre e miserabile; egoista e inaffidabile, pronto a tutto per raggiungere i suoi scopi, afflitto da dolori che talvolta utilizza come alibi ma più spesso accoglie in piena coscienza, come il prezzo pagato a tante "furberie, a tanti inganni verso gli altri e verso se stesso.