Giacomo Leopardi lascia, al di là del corpus di opere in prosa e in versi, un contributo importante per la storia della letteratura specialmente nel segno delle direzioni novecentesche.
Le Crestomanzie a cui Leopardi lavora nel biennio ’26-’28 vanno ad indicare un’idea di canone leopardiano collegabile con alla sua produzione narrativa.

Primo caso in Italia, l’antologia leopardiana procede sulla falsariga del francese Jean-François Noël che nel 1804 pubblica morceaux choisis di letteratura: al di là della novità per la tematica trattata a livello nazionale in Italia, la scelta leopardiana assume un significato particolare per la direzione antipurista – e dunque in controtendenza con le velleità letterarie del suo tempo – che l’antologia prende. Assente quasi del tutto il ‘300 italiano controbilanciato da numerosi nomi, anche nuovi, del ‘500 e del ‘600.
Quello che l’articolo di Andrea Campana descrive è un Leopardi innovatore nella sua veste di storico della letteratura e dunque estimatore di un “particolare cinquecento” (per usare le parole di Bollati).

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