l dolce stil novo nasce in ambiente fiorentino nella seconda metà del ‘200 e fa di questa cittadina, con i suoi nuovi canoni letterari, la più progredita a livello culturale e artistico in tutta Europa con un primato che si esaurirà solo nel XVI secolo.
Il nome dolce stil novo si deve a Dante che nel XXIV canto del Purgatorio definisce in tal modo il suo poetare: la parola aderisce maggiormente al sentire abbandonando stilemi prestabiliti della scuole provenzale e siciliana utilizzando una lingua chiara, purificata da dialettalismi.
Due le tematiche portanti: l’identità di amore e cuor gentile e la figura della donna-angelo, entrambe proposti da Guido Guinizzelli (1230-1276) nella canzone Al cor gentile repara sempre amore, manifesto della nuova poesia.
Per identità di amore e cuor gentile si va ad indicare la nobilità intesa come qualcosa non tramandabile e dunque non ascrivibile alla famiglia di appartenenza. Il concetto si inserisce in una spinta nuova e tutta politica volta a distruggere ogni privilegio di casta; una reazione antifeudale della borghesia comunale che vuole enfatizzare il merito individuale.
Passando alla figura della donna angelicata possiamo dire che si attua un’evoluzione di concetti precedenti: la figura femminile è soprannaturale e con il solo sguardo può ingentilire il cuore di chi le si accosta. L’amore, da essere desiderio di appagamento, anche carnale, diventa introspettivo e virtuoso e si colora di analisi psicologica e maggiore compostezza formale.

Dolce stil novo e Dante
Dante Alighieri (1265-1321) è la figura che eleva al vertice supremo la spiritualizzazione della donna e dell’amore, tema provenzale ancor prima che stilnovistico.
Il poeta nella Commedia condanna l’amore provenzale perché spesso fautore di peccati carnali (si veda il famoso canto V dell’Inferno) e colloca anche Guinizzelli tra i lussuriosi nel Purgatorio, giudicando così la tematica stilnovistica non sufficientemente disinteressata. Partendo dalla teoria di San Francesco che vede l’amore di Dio come amore assoluto e primario dal quale partire per accostarsi alle singole creature, che invece con la loro bellezza possono invischiare l’animo dell’uomo e allontanarlo da Dio, Dante raffigura Beatrice come fonte di beatitudine e salvezza, intermediario divino verso la virtù, simbolo della fede.
Questa simbologia complessa è però il risultato di un percorso poetico e umano descritto nella Vita Nuova dove l’autore ripercorre le tappe del proprio poetare. Inizialmente l’approccio teorico è confuso: prima considera Beatrice fonte di beatitudine, avvicinandosi a Guinizzelli, poi come causa di passione e dolore per l’uomo, guardando Cavalcanti.
La svolta si ha nell’incontro con le compagne di Beatrice descritto nel capitolo XVIII della Vita Nuova dove il poeta parla del fine del suo amore: dopo la negazione del saluto da parte di Beatrice il suo affetto si compie nel poter lodare poeticamente la donna amata nel modo più puro e disinteressato.