La strada è l'ultimo romanzo di Cormac McCarthy conferma il suo autore tra i più grandi della narrativa americana contemporanea.
È anche la visione di un'apocalisse, o forse di quello che sarebbe il mondo appena dopo la sua fine, con una minuscola umanità sopravvissuta e intenta a lottare costantemente con i propri bisogni psichici e fisiologici primitivi. Un'umanità ferma al primo gradino della scala di Marlow, più simile ormai a una disumanità, con le eccezioni di pochi “buoni” che ancora si ostinano a non cedere alle atrocità della violenza e del cannibalismo in un mondo rimasto senza regole e senza cibo. Tra di loro un uomo e un bambino, così definiti e mai diversamente nominati, sono i protagonisti di un romanzo che è un viaggio verso qualcosa che non esiste più, attraverso paesaggi di morte, simulacri di quello che era e che non potrà più essere, con la cenere dappertutto a far intuire il passaggio di un fuoco sterminatore (“ma dal cielo scenderà del fuoco, mandato da Dio” Apocalisse 20:9). Un uomo e un bambino che camminano verso un ipotetico sud, calpestando una terra che non produce più nulla “l'uno il mondo intero dell'altro”, quasi idee platoniche dell'uomo e del bambino stesso. Il motore del loro camminare si confonde tra il desiderio di raggiungere una meta che non c'è e la fame che è tornata ad essere la preoccupazione prima in quella che si configura come una tragica involuzione del genere umano all'età primitiva della cattiveria e della necessità di soddisfare i bisogni essenziali. L'aspirazione a non cadere nell'abiezione è tenuta viva in loro da una sorta di coscienza civile che l'orrore fa fatica a cancellare, e che fa sentire i due protagonisti come facenti parte di una comunità di eletti (“perché noi portiamo il fuoco”), comunità alla quale desiderano ricongiungersi, pur non credendo forse più alla sua esistenza. Sul loro cammino personaggi che sono ormai solo fantasmi degli uomini che furono, né buoni è cattivi, plasmati tutti a immagine e somiglianza dell'armageddon che hanno vissuto e del quale l'autore non scrive mai, ma è come se lo facesse mostrandocelo attraverso ciò che ha provocato alla terra e all'uomo.

Il romanzo si appoggia a un assunto fantascientifico, ma prende la strada della disanima sociale, anche se con davanti agli occhi una non-società nata dalle rovine di quella occidentale (americana?), e si evolve raccontando il rapporto tra un padre e un figlio che conservano ancora un briciolo d'amore, amore che li rende involontari portatori (forse gli ultimi) di un'umanità irrimediabilmente perduta. Ennesima metafora del disfacimento sociale contemporaneo, La strada si distingue per evocatività e lucidità, ponendoci di fronte al risultato di ciò che l'uomo stesso, probabilmente, sta facendo a stesso a al luogo in cui vive. La prosa secca, nel suo essere comunque molto elaborata, permette all'autore di raggiungere il lettore in modo semplice e immediato, con il chiaro intento di lasciare spazio sia all'emozione, sia alla riflessione.

Dal romanzo è nata anche una trasposizione filmica diretta da John Hillcoat, portata sul grande schermo nel 2009, nella quale gli attori Viggo Mortensen e Kodi Smit-McPhee interpretano rispettivamente il padre e il figlio.

di Francesco Bresciani