Cesare Viviani nasce a Siena il 22 aprile del 1947 ma vive e lavora a Milano dal 1972 dove ha svolto per molti anni la professione di psicologo nelle istituzioni sanitarie pubbliche. Ha collaborato per diversi anni ai quotidiani “Il Giorno”, “Corriere della Sera” e “Avvenire”. Negli anni 1978 e 1979, insieme a Tommaso Kemeny, ha organizzato due importanti convegni sulla poesia italiana degli settanta. Tuttora lavora come psicanalista. È sicuramente uno dei poeti più influenti e prolifici del Novecento italiano con ben dodici raccolte all’attivo che spaziano dal 1973 al 2012. Ha scritto anche due importanti saggi psicanalitici: Il sogno dell’interpretazione (Costa & Nolan, 1989) e L’autonomia della psicanalisi (Costa & Nolan, 2008). Vincitore di numerosi e prestigiosi premi di poesia tra i quali il “Viareggio”, il “Carducci” e il “Pascoli”.

Cenni di poetica. Il limite tra infinito e poesia
Cesare Viviani è poeta senese ma ormai convinto milanese d’adozione («Alla fine l’unico merito che ho avuto/ è quello di aver vissuto/ molti anni a Milano») ed è anche uno degli autori più prolifici del panorama italiano: ben dodici raccolte poetiche, un romanzo epistolare, quattro saggi critici sulla poesia del Novecento e due saggi di psicanalisi. Il tema dominante è sempre lo stesso sin dai suoi esordi: l’incomprensibilità della realtà. Viviani dedica una vita (poetica) intera all’analisi della realtà e della sua imperscrutabilità. Dagli inizi sperimentali de L’Ostrabismo cara (1973) dominati da una parola frantumata dal lapsus freudiano, ma meglio sarebbe dire dal trauma lacaniano, ai lenti e progressivi recuperi della forma fino all’approdo della poesia-pensiero dell’ultima stagione comprendente le raccolte Silenzio dell’universo (2000), Passanti (2002), La forma della vita (2005), Credere all’invisibile (2009) e Infinita fine (2012). Il tutto visto in considerazione di una parola-chiave: “limite”. Viviani dimostra, infatti, di essere anche un abile sociologo e individua il punto cardine della nostra società moderna, quella modernità che Bauman ha definito “liquida”.
La caduta di ogni tipo di confine, da quelli geometrico-matematici a quelli prettamente geografici, lascia paradossalmente campo al limite dell’uomo che non riesce a interpretare ciò che lo circonda e, forse, non può farlo. La dimensione della poesia di Viviani è quella dello stordimento, uno stordimento che può essere superato solo attraverso la parola poetica e la fede assoluta verso questa. Il misticismo del poeta senese è dovuto proprio alla parola, al potere immane del significante che trova la forza di autoregolarsi e per questo divenire ancora più potente e autoritaria. Allo stesso tempo risulta molto difficile catalogare Viviani in una corrente poetica piuttosto che un’altra; se è vero che nasce come poeta sperimentale-avanguardista, poi si evolve lentamente verso una dimensione piena di poesia-pensiero fino ad accostarsi al misticismo, praticamente in contemporanea con una forma poetico-narrativa ben marcata. Probabilente ad oggi la migliore espicazione della poetica di Viviani è quella elaborata da Enrico Testa: i componimenti di Viviani si inseriscono “dopo la lirica”.
Un’intera stagione poetica che parte dalla metà degli anni sessanta e arriva ai giorni nostri, un periodo letterario che prevede «l’ingresso e la stabilizzazione di un linguaggio fortemente parlato; la perdita di centralità del soggetto poetante; il rapporto con le grandi questioni del pensiero, e in particolare con il nichilismo nelle sue varie espressioni, la presenza di motivi e strutture antropologiche; scomparsi che ritornano, visioni arcaiche dell’essere, animismo della natura, oggetti e realtà che guardano e interrogano» (si veda la raccolta antologica edita da Einaudi a cura di Enrico Testa, Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000 da cui sono prese le citazioni del presente articolo). Viviani sviluppa tutte queste suggestioni – e non a caso nell’antologia di Testa sono presenti tutti i modelli del poeta senese: Luzi, Fortini, Zanzotto, Giudici, Raboni, ma anche Porta, Cacciatore, Rosselli – risultando «forse quello che ha poi compiuto il percorso più ricco e complesso, caratterizzato da netti mutamenti formali e da una sostanziale fedeltà a pochi principi di fondo». E proprio questa fedeltà nei confronti della realtà e in particolare della sua incomprensibilità e del suo concetto di “limite”, sono il tratto fondamentale e unico della poesia di Viviani. Quella realtà «che assume, in sintesi, l’aspetto – anche nella devastazione odierna – di una figura di reverenza verso l’esistente, il suo possibile senso e le sue relazioni: trascendenti e simboliche perché quotidiane».
La grandezza di Viviani sta nell’aver percorso strade differenti per approdare comunque al risultato già prefissato fin dalla prima raccolta, una grandezza, come tutte quelle veramente “grandi”, fatta di umiltà e ricerca continua unite a un notevole talento poetico. È una poesia che si muove per coazione a ripetere e che allo stesso tempo sente la necessità impellente di cambiare e di interrogarsi nuovamente; una poesia vera che ha il coraggio di mettersi in discussione e di sperimentare il limite, suo e forse anche universale, sulla propria pelle e quindi su quella esistenziale del poeta. Un percorso complesso e articolato in dodici raccolte che riesce meravigliosamente a darsi sempre la stessa risposta: il senso del limite, quello posto appunto “dopo la lirica”, è la poesia stessa.