Un'allegra e dissennata combriccola vaga per la Mosca di Stalin: Woland, maestro di arti oscure, un simpatico ometto provvisto di zanna affilata dal nome Azazello, il silenzoso Fagotto e un enorme gatto dai comportamenti antropomorfizzati, Behemoth. Primo ad imbattersi nell'eterogeneo gruppo è il direttore di una rivista letteraria e presidente dell'associazione Massolit, ateo convinto che cerca di spiegare ad un inesperto poeta che Dio non esiste. Di tutta risposta all'eloquio del direttore la previsione di Woland: nella serata morirà travolta da un tram.
È solo la prima delle numerose e inspiegabili vicende che occorrono ai cittadini moscoviti, dipinti nella pochezza della loro quotidianeità, negli ambienti spogli e scuri, negli abiti dismessi e nelle cene dal costo contenuto ma dalla magnificenza decadente.
Il titolo del libro sembra perdersi nel vortice di eventi e figure che costellano il romanzo: perché il Maestro e perché Margherita? Ma soprattutto: cosa sono gli intermezzi di capitoli sulla vita di Ponzio Pilato?
La prima parte, in termini di pagine, è volutamente disordinata, un indistinto magma che da metà volume inizia a cesellare, colpo dopo colpo, i mille e più frammenti precedentemente dispersi e il lettore tiene il passo alla schizofrenia dei vari protagonisti, ai voli onirici nei cieli moscoviti, allo spazio parallelo di una stanza dove, al di là di una sottile parete, si tiene il ballo di Satana.
Edito integralmente postumo grazie all'edizione del 1967 della casa editrice Posev di Francoforte, il romanzo offre molteplici spunti per la censura sovietica: la lotta tra il bene e il male, la riscrittura tutta umanizzata della vita di Ponzio Pilato, l'immagine di Satana ammiccante e piacevole solamente conforme alla legge del contrappasso nonché una serie di vicende autobiografiche mirabilmente rielaborate ma opportune nell'offrire una fotografia della Mosca degli anni '20-'30.