"La Coscienza di Zeno", pubblicata nel 1923 da una casa editrice di Bologna a spese dello scrittore dilettante Italo Svevo, pseudonimo dell'imprenditore triestino Ettore Schmitz, rappresenta senza alcun dubbio una delle espressioni più originali della letteratura italiana d'inizio secolo.

Dalla mitteleuropea Trieste, porto e posto "di confine", depositaria di una identità sfaccettata, asburgica e imperiale eppure italiana/risorgimentale, Svevo propone ai suoi "nuovi" connazionali un romanzo d'avanguardia di respiro europeo. Per la prima volta le scoperte del medico viennese Sigmund Freud fanno parte di un testo senza peculiarità scientifiche: il protagonista, ma non solo lui, si adopera con grande successo ad illustrare l'enorme varietà dell'interventismo inconscio nella vita quotidiana.
Non c'è bisogno di arrivare al termine del racconto per scoprire che sogni, errori, dimenticanze e distrazioni sono tutt'altro che casuali e rispondono piuttosto a motivazioni fortissime, sebbene inconsce.
La psicoanalisi è dunque un aspetto, caratterizzante, dell'opera terza dello scrittore triestino alla quale si unisce una singolare costruzione narrativa che penalizza la linearità cronologica ed esalta la percezione personale degli avvenimenti.

La relazione vuol approfondire il difficile rapporto che Zeno ha con la realtà: per quanto ci dice nel suo strampalato resoconto, da quanto l'autore Svevo fa affiorare dall'abile uso dei segni freudiani e dal complesso gioco di specchi tra protagonista, narratore e autore.
Si parte, ma non era poi così scontato parlando de "la Coscienza", dall'inizio: nella prima sezione, composta da due brevi prefazioni e un racconto sganciato dal resto della narrazione , Svevo anticipa il senso dell'intero racconto, riuscendo a racchiudere nella "famosa, emblematica sigaretta" l'intera gamma delle nevrosi zeniane e a sviluppare (quasi) tutti i temi che caratterizzeranno le pagine seguenti, sia per quel che riguarda l'aspetto "micro" (la malattia immaginaria di Zeno) sia per quanto concerne l'aspetto "macro" (l'ineluttabilità di un'esistenza infelice coinvolge l'intera umanità).

L'analisi del nucleo centrale del romanzo (dalla morte del padre al funerale di Guido) permette di approfondire, sotto punti di vista differenti, l'incidenza della realtà psicoanalitica nel romanzo, la posizione assunta dal narratore, il peso che la pratica medica ricopre nella narrazione.
Nel capitolo secondo (Il doppio livello della narrazione) l'attenzione è puntata sulla costruzione a due livelli della storia; rifacendosi ad alcuni celebri saggi critici l'accostamento tra Zeno e Charlot appare particolarmente azzeccato per spiegare la "doppia faccia" del protagonista e, di conseguenza, dello stesso resoconto. Se è divertente, lineare e positivo in superficie appare completamente diverso in chiave di analisi psichica: il diario è "doloroso e squallido", la vita di Zeno è una schermaglia infinita di sensi di colpa e repulsioni, di indulgenze e autotutele, di menzogne e dolori psicosomatici.

Nel terzo capitolo sono approfondite le caratteristiche principali dell'autobiografia, ovvero la menzogna e la malattia. Di entrambi il consapevole Zeno si serve per "riequilibrare" una situazione psicologica costantemente instabile; verso gli altri è giocoso, sarcastico, talvolta scaltro; verso se stesso è riflessivo, accorto e indulgente. La bugia è così presente in Zeno che nemmeno in sede di confessione ne saprà fare a meno; un po’ Svevo un po’ Freud ci riveleranno le vere intenzioni del Cosini; l'amore per la cognata Ada non è mai tramontato – come invece ribadisce con frequenza eccessiva, e quindi sospetta, lo Zeno narratore - così come l'affetto per la moglie Augusta è spacciato, senza nemmeno troppa convinzione per la verità, per amore; per finire nel caso, emblematico e grottesco, dell'odio per il rivale Guido, ipocritamente accantonato di fronte agli occhi dei familiari e forse di se stesso, ma prepotentemente riemerso nella famosa scena dello sbaglio di funerale.

Nell'ultimo capitolo viene dato uno sguardo al rapporto di Svevo con la psicoanalisi di Freud; non è un'adesione incondizionata, tutt'altro. Svevo è poco pratico della terapia analitica, non crede che sia efficace e ritiene la nuova concezione medica utile più per i narratori, come allargamento della conoscenza, che non per i dottori. Zeno riflette questa concezione, si avvicina alla psicoanalisi (l'autobiografia è un preludio alla cura) ma poi la rifiuta, boicotta i metodi di approccio (p.e. inventa un sogno falso) e nega ogni possibile conclusione.
Così facendo Svevo garantisce libertà d'azione ai suoi personaggi, svincola le considerazioni dai dogmi freudiani e non tradisce il senso di originalità e incertezza che il personaggio Zeno, in definitiva, vuol trasmettere.