Italo-americano di prima generazione, John Fante nacque a Denver, Colorado, l‟8 aprile del 1909. Suo padre, Nicola Pietro era nato in un piccolo paese dell‟Abruzzo, Torricella Peligna, e all‟età di vent‟anni aveva deciso di tentare la fortuna altrove, così come facevano moltissimi giovani contadini in quella fase storica. Inizialmente sbarcò in Argentina dove, però, la crisi economica non gli permise di sopravvivere per più di un anno; fece dunque ritorno in Italia ma lì, come si rese presto conto, non gli restava più nulla, dal momento che la sua ragazza l‟aveva velocemente sostituito e suo padre era scappato negli Stati Uniti lasciando la moglie e la figlia piccola. Il rientro in patria, dunque, durò poco per Nicola Fante che si imbarcò nuovamente, questa volta per New York dove arrivò il 6 dicembre del 1901. La vita in quella città si rivelò piuttosto dura per un giovane immigrato, per questo dopo poco tempo Nick (così come verrà sempre chiamato nella sua nuova vita americana) partì per il Colorado e nel quartiere italiano di North Denver ritrovò suo padre; nel 1907 anche la madre e la sorella li raggiunsero e la famiglia si riunì.
Nello stesso quartiere in cui vivevano i Fante si era da poco trasferita la famiglia Capolungo, originaria di Potenza, di cui faceva parte una ragazza cattolica molto devota che nutriva il desiderio di diventare suora. Il suo nome era Mary e il suo destino si rivelò ben diverso rispetto a quello che si era figurata, infatti conobbe Nick e i due si sposarono il ventinove giugno del 1908.
L‟anno seguente nacque il loro primo figlio, John Thomas Fante. Nel frattempo Nick cercava di mantenere la famiglia con il lavoro che aveva sempre praticato fin dalla giovinezza in Abruzzo, il muratore, ma il clima delle Rocky Mountains era piuttosto rigido e a volte la neve rendeva impossibile lavorare anche per parecchi mesi. L‟inattività, per un carattere irrequieto come quello di Nick, era difficile da sopportare, per questo egli finiva col trascorrere le sue serate nei vari bar del quartiere, bevendo, giocando d‟azzardo, frequentando donne e incappando in qualche rissa. In casa, poi, sfogava il suo carattere burbero e violento con la moglie e i figli.
Intanto la famiglia si allargava, con Pete nato nel 1911 e Josephine nata nel 1914, e i Fante si spostarono da Denver a Boulder nel 1915; quell‟autunno John si iscrisse alla prima elementare del Sacro Cuore, nonostante i suoi genitori spesso non riuscissero a pagare la retta mensile di due dollari dal momento che Nick li finiva sempre comprando sigari costosi o perdendo qualche mano a poker. Trascorse così l‟infanzia di John Fante, all‟insegna di una costante povertà e di un difficile rapporto con il padre, fattori che lo segneranno profondamente e che, come vedremo, costituiranno un punto cardine della sua scrittura.
Terminato il periodo di studi del Sacro Cuore, nel 1923 Fante entrò alla Regis High School di Denver, istituto di gesuiti dove si conduceva una vita quasi monastica e occasione in cui John affrontò per la prima volta il distacco dalla famiglia; ma nemmeno lì la vita si rivelò tanto facile, la scuola osservava regole piuttosto rigide, era necessaria disciplina e la direzione prevedeva addirittura punizioni corporali. Fante otteneva ottimi voti soprattutto in campo sportivo, nel football e nel baseball. Iniziò inoltre a frequentare la scuola di boxe appena nata all‟interno del Regis e, insieme a tutto questo, ebbe anche un primo approccio con la scrittura, attraverso un quaderno di appunti su cui annotava i resoconti delle partite e altro (in seguito lo sport sarà spesso argomento letterario per Fante).
Durante gli anni che Fante trascorse presso i gesuiti, avvertì per un momento una sorta di spirito vocazionale, ma al termine dell‟ultimo anno questo si era già dissolto e al suo posto erano subentrati dubbi e scetticismo nei confronti della religione cattolica.
Nel 1927, dopo aver preso il diploma e dopo quattro anni lontano da casa, se si escludono le estati che aveva trascorso lavorando con il padre, John tornò in famiglia dove tutto era sempre uguale ma dove lui ormai si sentiva un estraneo.
In autunno Fante si iscrisse alla University of Colorado dove rimase solamente tre mesi, troppo distratto com‟era dalla nuova libertà e, soprattutto, dalle ragazze. Tornò invece alla boxe, iscrivendosi nella palestra del club di cui suo padre era socio, l‟Elks, e facendosi allenare dallo stesso Nick. Intanto, alla ricerca di nuovi stimoli intellettuali, iniziò a frequentare la biblioteca pubblica e fu proprio lì che scoprì l‟esistenza di colui che sarebbe diventato il suo mentore e padre letterario, H. L. Mencken, direttore dell‟“American Mercury”, scrittore e critico letterario. Come si legge nella biografia ufficiale di John Fante, scritta da Stephen Cooper:

«Fu proprio a quel punto che John considerò per la prima volta seriamente l‟ipotesi di dedicarsi alla scrittura. Nell‟autunno del 1928 era stato riammesso all‟università, e si era iscritto a ben cinque corsi, inclusa lingua e letteratura inglese. […] Sempre più si convinceva che la scrittura era il suo pane, ma il venticinque marzo del 1929 fu espulso per non aver conseguito il minimo complessivo dei voti»

La spinta decisiva arrivò dalla famiglia, quando Nick qualche mese dopo lasciò la famiglia per un‟altra donna. Fante sentì di non aver più nulla da fare a casa, in Colorado, e nel 1930 partì insieme ad un amico per la California.
Arrivò a Wilmington, vicino al porto di Los Angeles, dove conobbe un periodo di vagabondaggio per poi tentare di sopravvivere attraverso i mestieri più disparati, facendo l‟aiuto cuoco, lavorando nei conservifici di pesce a contatto con immigrati filippini e messicani, o facendo il portiere di notte negli hotel. E la situazione non poté che peggiorare quando lo raggiunsero la madre, la sorella e il fratello più piccolo, Tom (nato nel 1917), dei quali John, ora che il padre era assente, doveva prendersi la responsabilità. Paradossalmente Fante cominciò ad assumere atteggiamenti sempre più simili a quelli di suo padre, trattando in malo modo, anche se non attraverso la violenza fisica, la madre e la sorella e mostrandosi insofferente a quella situazione.
Nel 1931 John riprese l‟idea dell‟università e si iscrisse al Long Beach Junior College; fu lì che incontrò una figura importante, «l‟unico docente che nella sua vita avrebbe esercitato un consistente influsso positivo».
Si trattava di Florence Carpenter, trentenne insegnante di inglese che si appassionò al modo di scrivere di Fante il quale, tra l‟altro, da un paio d‟anni aveva iniziato ad inviare lettere e storie a Mencken che, con sua incredibile felicità, gli rispondeva e lo incoraggiava. Per la prima volta ben due persone credevano in lui. Fante iniziò a scrivere racconti, saggi e critiche per la Carpenter e per il gruppo letterario dell‟università da lei stessa fondato, chiamato Skalds, di cui entrò a far parte; una sera portò alla riunione del gruppo un racconto che aveva scritto, Chierichetto, per il quale l‟insegnante e i compagni mostrarono grande entusiasmo. La Carpenter lo convinse ad inviarlo a qualche editore, Fante pensò subito a Mecken ed incredibilmente una settimana dopo arrivò la risposta positiva del direttore dell‟ “American Mercury” che accettava il racconto.
Dopo poco tempo Fante lasciò il Long Beach Junior College, nel frattempo, nella primavera del 1932, il padre tornò a casa, Mary decise di perdonarlo e la famiglia si trasferì a Roseville, nella California del nord, mentre John decise di rimanere a Wilmington e perseguire il sogno di diventare uno scrittore.
Nei mesi successivi scrisse altri racconti e conobbe, sempre grazie a Mencken, un personaggio che sarebbe diventato il suo più caro amico, Carey McWilliams, «un altro importante collaboratore del “Mercury” di Los Angeles, avvocato in gamba e scrittore prolifico che, come Fante, veniva dal Colorado».
McWilliams aveva importanti conoscenze in diversi ambiti e riuscì ad ottenere per John un appuntamento con Ross Wills, capo del dipartimento sceneggiature della Metro-Goldwyn-Meyer: era l‟inizio della collaborazione di Fante con il mondo di Hollywood, lavoro che fu per tutta la vita la sua maggiore fonte di sostentamento e, insieme, la causa di lunghi periodi di inattività letteraria, frustrazione e senso di fallimento. Se, infatti, il guadagno nel cinema era piuttosto facile, era altrettanto vero che quel genere di scrittura spesso lo faceva sentire un mercenario che si svendeva per il cosiddetto hokum di Hollywood. Impiegava buona parte del tempo a cercare di andare incontro alle esigenze di produttori e registri, cambiando in continuazione la sceneggiatura della quale poi, in moltissimi casi, non si faceva nulla.
Nel frattempo, comunque, Fante non abbandonava i suoi progetti di scrittore e, anzi, cercava di fare il salto di qualità scrivendo un romanzo: a questo proposito aveva un contratto con Knopf, l‟editore di “American Mercury”; il era Mater Dolorosa. Ma tre mesi dopo distrusse tutto ciò che aveva scritto fino a quel momento perché gli sembrava privo di verità.
Con le short stories, invece, aveva meno problemi, continuava a scriverne e a pubblicarne diverse per riviste come l‟“American Mercury”, l‟“Atlantic Monthley”, “Scribner‟s” o il “Women‟s Home Companion”.
Archiviato il progetto di Mater Dolorosa, Fante lavorò, tra il 1935 e il 1936, ad un nuovo romanzo, il pluri rifiutato The Road to Los Angeles che avrebbe visto la luce solo nel 1985; ma le sconfitte letterarie non abbatterono Fante che, intanto, si manteneva per lo più attraverso alcune proficue collaborazioni con il mondo del cinema. Dopo il fallimento del primo romanzo, Fante si mise subito a lavorare ad un nuovo progetto, quello di Wait until Spring, Bandini che, questa volta, convinse l‟editore della Stackpole Sons e così nel 1938 John Fante riuscì finalmente a pubblicare un romanzo. Era il primo anno di un triennio doro: nel 1939, infatti, la stessa casa editrice pubblicò Ask the Dust, e nel 1940 la Vicking Press editò Dago Red, una raccolta dei migliori racconti di Fante apparsi in varie riviste a partire dal 1932.
Anche dal punto di vista sentimentale fu un periodo positivo per Fante: nel gennaio del 1937 conobbe la ragazza che di lì a pochi mesi sarebbe diventata sua moglie, Joyce Smart.
Dopo la pubblicazione di Dago Red nel 1940, si aprì un periodo nero nella carriera di Fante: ci vollero ben dodici anni prima di riuscire a completare e far accettare da un editore un altro romanzo. Il periodo che separa Dago Red da Full of Life (edito appunto nel 1952) vide per lo più progetti mai portati a termine, come quello del romanzo sulla realtà degli immigrati filippini in California o Ah, Poor America!, opera di ambientazione italiana, oltre, ovviamente, alle sceneggiature per Hollywood.
Tuttavia, il successo di Full of Life sembrò ripagarlo del periodo di eclissi. Il romanzo, infatti, divenne un bestseller e la Columbia Pictures decise di farne un film, diretto nel 1956 da Richard Quine, interpretato da Judy Holliday e sceneggiato dallo stresso Fante.
Lavorare nel cinema portò anche qualcosa di buono, perché permise a Fante di tornare alla terra di suo padre Nick, di visitare l‟Italia o, almeno, una parte di questa: nel 1957 espatriò per la prima volta e sbarcò a Napoli, per il progetto della sceneggiatura The Roses a cui lavorava con Richard Quine per la Columbia. Rimase a Napoli per sette settimane ma alla fine dovette tornare negli Stati Uniti perché il progetto venne sospeso. Tornò a Roma tre anni dopo, questa volta per collaborare con Dino De Laurentiis a Black City e fu in quest‟occasione che si recò fino al paese in cui suo padre era nato e cresciuto, Torricella Peligna, in provincia di Chieti. Come scrive Cooper:

«[…] trovò un paesello appollaiato sulla cima di una montagna fredda e rocciosa, popolata da vecchie sospettose raggomitolate dentro scialli neri e da una gioventù scontrosa che se ne stava in piazza senza far niente. Il paese di suo padre gli parve un posto miserabile, invivibile, familiare ed estraneo, proprio come un brutto sogno»

Negli anni Cinquanta e Sessanta, John Fante diede vita ad un nuovo ciclo narrativo con protagonista non più Arturo Bandini, ma i membri della famiglia Molise; due dei romanzi appartenenti a questo ciclo, 1933 Was a Bad Year e My Dog Stupid, sono rimasti inediti fin dopo la morte dello scrittore, mentre solo nel 1977 fu pubblicato quello che da molti è ritenuto il capolavoro della maturità di Fante, The Brotherhood of the Grape.
Nel 1955 Fante aveva scoperto di avere il diabete, vent‟anni dopo le sue condizioni di salute erano decisamente peggiorate e lo costrinsero a diverse operazioni in cui gli vennero amputate entrambe le gambe; la malattia lo portò, inoltre, alla cecità assoluta. Ma Fante rimaneva uno scrittore e non si esaurì in lui il desiderio di raccontare storie, così, un giorno di ottobre del 1979, chiese a sua moglie di prendere carta e penna e iniziò a dettarle quello che sarebbe stato il suo ultimo romanzo, nonché ultimo episodio della saga Bandini, Dreams from Bunker Hill, espressione del rimpianto rispetto a quei “grandi” primi anni a Los Angles vissuti con il sogno di diventare uno scrittore ricordato dai posteri.
John Fante morì l‟8 maggio del 1983, prima di potersi rendere conto che non era affatto uno scrittore dimenticato, ma che sarebbe stato ricordato come aveva sempre desiderato. La riscoperta di Fante è iniziata quando lui era ormai alla fine della sua vita e continua tutt‟oggi. Il merito va innanzitutto a colui che è stato un suo grande ammiratore, Charles Bukowski, e alla sua casa editrice, la Black Sparrow Press, che nel 1980 ripubblicò Ask the Dust, l‟anno seguente diede alle stampe l‟ultimo romanzo di Fante, Dreams from Bunker Hill, nel 1983 riportò alla luce Wait until Spring, Bandini e dopo la morte dello scrittore diede alle stampe il lontano The Road to Los Angeles e altri scritti inediti.
Inoltre non bisogna dimenticare il grande contributo che ha dato Joyce Fante, sostenendo negli anni il marito e permettendo, negli anni successivi alla sua morte, che venisse ricordato.

(tratto dalla tesi di Diletta Bosso)