"Tu non sai dove andremo a finire ma io so dove voglio arrivare".
Anna Melis, giovane autrice cagliaritana classe 1974, riesce con questo romanzo a mostrare uno scorcio del paesaggio sardo e del temperamento dei suoi abitanti, uomini e donne: coriacei, ostinati, orgogliosi, passionali tenendo legato il lettore alla storia, con il fiato sospeso sino all'epilogo finale che non manca di offrire colpi di scena, rendendo ancora più apprezzabile questa sua opera.
"A chent'annos" disse lei accarezzandogli il viso "a cent'anni Graziano mio" "Non ce la faccio ad aspettare tanto". Marietta, la bellissima cugina orfana di madre, stuprata dal padre quando ancora era bambina, tanto amata da Graziano. Un amore passionale e carnale tra i due cugini, noto a tutti – quando i peccati li si fa sotto il sole, nessuno più si sofferma a guardarli – ma impossibile da benedire con il matrimonio, quel tipo di amore impossibile da soffocare anche dopo che un matrimonio di comodo consegnerà la ragazza nelle mani dell'infelicità coniugale perché per l'uomo giusto ogni donna si vende l'anima al diavolo.
Quella descritta dalla Melis nella sua opera prima è la Barbagia della Sardegna degli anni '50 il profondo orgoglio dei suoi figli, un orgoglio ancestrale e connaturato.
Una saga familiare che racconta la lunga faida tra le famiglie Corrias e Meli, costellata di avvertimenti, bagnata di sangue, e paralella alla difesa dell'onore a costo della vita con un criterio di giustizia poco ortodosso, ben lontano da quanto il diritto definisca tale, un matrimonio “sacrificale” e incestuoso volto a stagnare inutilmente la ferita che lacera e unisce al contempo i due ceppi familiari.
Ninniù Meli così diverso da Graziano, il fratello maggiore che è alto e bello: un vero balente con il diavolo in corpo, tutto l'opposto di suo padre Angelo e tanto simile, invece, a suo zio Efis: zio e nipote dal sangue caldo come un toro. Ninniù che solo alla fine riuscirà ad essere un vero balente difendendo l'onore della sua famiglia e della sorella più giovane rendendo giustizia al fratello Graziano andato incontro alla morte come agnello sacrificale in difesa di quello stesso onore.
"Mala femmina tu come le altre, pensate sempre che un uomo abbia bisogno di tette e carezze per farsi una ragione di tutto. Ma un uomo in piedi ci si rimette da solo, senza tette carezze e minciate varie. Ecco quanto lo consideri uomo il figlio mio" rimprovera Antonio Mele alla moglie, che tenta di consolare il figlio Graziano riportato a casa più morto che vivo dopo il primo faccia a faccia con il clan dei Corrias.
Il linguaggio, lo stile e gli intercalari sardi fanno di Da qui a cent'anni una storia unica da leggere d'un fiato, dove amore e morte si avvicendano così come le stagioni della vita, seguendo un ritmo naturale e ciclico, dove l'amore per la propria terra sgorga da ogni singola parola dell'autrice. Un romanzo che si proietta mentalmente come un lungometraggio grazie alla sua forza descrittiva.
Un'opera prima eccezionalmente riuscita, finalista al Premio Calvino 2011.